
Ciaff … ciaff … ciaff … ciaff
Ciaff … ciaff … ciaff … ciaff
Lo conosco quel pallone, è un Jordan Legacy con la sagoma nera di MJ che sembra disegnata da Danijel.
Conosco anche Marco, praticamente l’ho visto nascere e ora ha 19 anni. Da quand’era bambino e fino a un anno fa passava i pomeriggi in questo campo da basket fra la chiesetta e l’argine con tutti i suoi amici. Giocavano, ridevano, chiassavano e si prendevano in giro per far colpo sulle ragazzine.
Conosco anche quel ciaff ciaff triste e monotòno. La prima volta è stato parecchi anni fa, dalle mani di Son House che ritmavano Grinnin’ in your face. Mani, voce e il crepitìo di un vinile di seconda mano.
Blues.
Suoni e movimenti: quel che mi faccio bastare per riconoscere i vicini. Lontani, uguali, senza le labbra.
Chissà se anche a loro stanno crescendo queste placche ispide sulla schiena.
Io resto qui, aggrappato allo schienale della panchina con le palpebre che si stanno lacerando lentamente, lentamente, senza dolore.
Aspetto i colori.
Aspetto il rosso della ragazza che cammina controcorrente. E’ un bug del sistema, lo so, ma va bene così.
Blues.
Lucio Montecchio
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