
L’inverno di montagna è la stagione più lunga dell’anno e la più bella, assieme alla primavera, all’estate, all’autunno e a tutte le altre che Meg sa percepire e io no.
Ti fa assaporare il freddo sulle labbra, almeno fino a quando il respiro imbrìna la barba e poco dopo le labbra ti si paralizzano e rientri parlando con la voce da ubriaco. Ma, almeno da queste parti, parlare non è un obbligo.
Qui d’inverno il tempo è diverso, vive senza alcun legame con questi spazi così bianchi da confondersi col cielo. E così non c’è velocità: non ci sono né la fretta né la calma.
Se non devi lavorare puoi dormire finché non hai più sonno, leggere finché ti va, farti due coccole con chi ami, mettere su un po’ di musica buona, far da mangiare canticchiandoci sopra oppure uscire per una passeggiata accompagnato dallo scrocchio degli scarponi sulla neve.
Le tre stufe che ci permettono di scaldare la casa e di far da mangiare bruciando la legna che il nostro bosco ci dà.
Ora però lo dico in modo meno romantico: la legna che ci permette di stare al caldo e di cucinare non la porta Babbo Natale: quando la neve se ne va scendo nel bosco, scelgo con cura i 7-8 alberi con meno futuro, accendo la motosega e li taglio. Poi li tiro fin davanti a casa, li depezzo, spacco e accatasto. Se andassi in palestra mi toccherebbe depilarmi il petto.
Sono faggi, noccioli, betulle e aceri. Tagliati da chi lo sa fare («e chi non impara in fretta muore di freddo», commenterebbe sottovoce Carlo Darwin), pochi mesi dopo producono nuovi germogli dalla base, che nel giro di 8-10 anni raggiungono il diametro giusto per la stufa.
Posso tornare su quegli stessi alberi a rotazione e ricominciare, perché le radici non muoiono.
Questa tecnica, per niente facile, viene usata fin dalla notte dei tempi e si chiama ceduazione. Non c’è nulla di nobile, lo so bene, così come non è nobile coltivare piante di carota per mangiargli le radici.
Il bosco cosiddetto ceduo è implicitamente una coltivazione, di legno.
È per questo che esistono ancora moltissimi boschi di questo tipo in Italia: perché davvero tutti, da sempre e fino a pochi decenni fa, ci si scaldava e si cucinava ad alberi.
L’uso di combustibili monouso come il gasolio, il kerosene (le ricordo bene, quelle taniche gialle puzzolenti) e il metano sono arrivati dopo, assieme alle guerre per il petrolio e per il metano.
È chiaro che bruciando legna rimetto nell’aria l’anidride carbonica che quel pezzo aveva incapsulato durante quegli 8-10 anni, lo so bene, però è altrettanto chiaro che tutti gli altri miei seicento alberi la stanno già catturando, quella stessa anidride carbonica.
Non solo la mia. Stanno catturando anche quella prodotta da chi, magari da un bell’attico in centro, si lamenta del fatto che brucio alberi.
LM (brano estratto da “Germogli”, Cleup, 2020)
Anche a me piacerebbe l’inverno, se solo avesse le temperature dell’estate.