
Il circo!
Il megafono di una macchina rossa guidata da un clown avvisava che stava per arrivare il circo e noi non vedevamo l’ora che finisse la scuola per correre a casa, pranzare velocemente e ritrovarci fra tutti quei vagoni variopinti.
Una zebra legata all’ombra di un albero, un leone spelacchiato steso dentro ad un carro con le pareti di sbarre, un orso che faceva avanti e indietro nel carro di fianco e l’immancabile elefante accompagnato a sgranchirsi nel campo sportivo, al centro del quale una quindicina di persone piantava picchetti, tirava corde e alla fine alzava il tendone a righe rosso sporco e bianco sporco.
Dopo le prime volte imparammo che per restare nei paraggi senza essere cacciati in malo modo bisognava fare amicizia fin da subito coi bambini del circo, che per quei pochi giorni venivano nella nostra scuola e ci raccontavano cose fantastiche.
Non ho mai visto un grande dei nostri parlare con un grande dei loro; chissà quante cose avrebbero potuto raccontarsi.
L’autista di quella macchina rossa passava i pomeriggi a tirar via cacca da sotto le sbarre delle gabbie usando un rastrello col manico lungo.
La sera, quello stesso signore vestiva di nero e dalla cassa urlava “venite gente”.
A metà spettacolo, sempre lui entrava sotto al tendone col viso dipinto di bianco, il naso rosso e un cappello a cono, si ingamberava nelle sue stesse lunghissime scarpe, prendeva in giro il domatore e minacciava il leone assonnato sparando da una pistola a molla una pezzetta con scritto Bang.
Per noi bambini, il circo era il mondo dello zucchero filato, della musica, dei colori, dei clown, dei trapezisti e dei fantini.
Era anche l’unico modo per vedere una zebra, un orso o un elefante.
Chi accompagnava i bambini allo zoo era contrario all’uso degli animali da spettacolo, diceva che era immorale.
Aveva ragione.
LM
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