Il collasso

Siamo arrivati al previsto collasso.

Lo sapevamo da anni, lo sapevamo tutti ma abbiamo continuato a sprecare energia non nostra, sperando che chi ce l’aveva fosse disposto a vendercela al prezzo che andava bene a noi.

Legna, pellet, metano, petrolio e corrente elettrica. Tutta robetta d’importazione, come le arance per le guarnizioni dei cocktail, i gamberoni sudamericani, il salmone al banco del supermercato, il telefonino sul quale sto scrivendo e l’olio di girasole.

E poi quel che non ci arriva fino a casa ce lo andiamo a prendere, inquinando mezzo mondo a caccia di emozioni e selfies e stories negli Stati Uniti o alle Canarie, a mangiare quello stesso salmone da supermercato che trovi al Billa.

Leggo sul giornale di oggi che la produzione delle bottiglie di vetro avrà un drastico calo, ma che sarà garantita la priorità a un noto colosso internazionale della birra. E con l’acqua come facciamo, sempre nella plastica? Mah…

Qualche giorno fa ho letto del grande trauma che saremo costretti a subire a causa della poca disponibilità di anidride carbonica per fare bevande gassate, quelle cose che trasformi in rutti che diventano gas serra. Mah..

Intanto il mio amico Fabio ha un orto ricco e vario, le galline, le capre, scrive poesie e lavora da casa, che lo smart working se l’è inventato lui molti anni fa.

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Riporto un brano tratto da “Pane e Noci” (l’editore mi rimproverera’, lo so).

“All’inizio degli anni settanta ci arrivava meno petrolio di quando ne servisse e, come conseguenza, i consumi inutili vennero proibiti. Chiamarono quel periodo Austerity. In inglese, non so perché.
Le insegne elettriche dei negozi vennero spente, c’era un lampione acceso ogni tre ma, soprattutto, nei giorni festivi si potevano usare solo i mezzi pubblici.
Renato andava al ristorante in taxi.
Noi invadevamo le strade coi palloni, i pattini e le biciclette. Quegli spazi diventarono nostri.
Imparammo che consumare e inquinare meno è possibile e senza drammi, ma lo dimenticammo in fretta.
Dopo cinquant’anni continuo a vedere lampioni accesi ovunque, palazzi pubblici illuminati a festa per una qualsiasi celebrazione, frecce tricolori inquinare il cielo col plauso di tutti noi, sale d’attesa col condizionatore in funzione in giugno, persone che pur di non camminare trecento metri prendono la macchina.

Le nostre amministrazioni stanno dando l’esempio giusto?
Col contributo dello Stato abbiamo buttato via diciassette milioni di televisori e di decoder funzionanti, che sono finiti dapprima nell’isola ecologica più vicina e poi chissà dove.
Sono stati regalati soldi a chi voleva comperare l’indispensabile monopattino a batteria, ma non ho ancora capito perché chi ripara il frigorifero invece di sostituirlo, chi va in bicicletta, chi legge un libro o chi fa l’amore non riceve un premio.
Per le crociere ecologiche negli arcipelaghi incontaminati usiamo navi che montano 6 motori a nafta pesante da 1.800.000 cc ciascuno, che necessariamente restano accesi anche quando sono ferme in porto.
Credo che questa crisi climatica sia figlia di una crisi culturale ampia e trasversale, nella quale abbiamo tirato dentro anche quei miliardi di persone che di questo nostro progresso non hanno goduto e che, giustamente, vorrebbero assaggiarne finalmente un pochino: un telecomando da pigiare a piacimento, un divano motorizzato, un frullato di mirtillo biologico o un viaggio in Italia a 19,90.
Continuo a chiedermi perché non licenziammo l’Amministratore della Terra s.p.a. quand’eravamo in tempo.
L’avevamo delegato noi, me lo ricordo bene”.

Dal divano di casa è tutto.

LM

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